Il nostro primo articolo su HuffPost Italia

Il nostro primo articolo su HuffPost Italia a firma della presidente Valentina Tonti.

I collaboratori parlamentari lo sanno. Ogni neo-eletto, quando ha varcato per la prima volta la soglia della Camera o del Senato, era animato dall’entusiasmo, dalla voglia di cambiare le cose e di dare il suo contributo per risolvere uno dei tanti problemi del nostro paese. La maggior parte di loro ha poi sperimentato, almeno una volta durante il suo mandato, il sentimento della disillusione. Hanno scoperto che non è facile come si pensava; che non ci si può occupare di tutto; che serve tempo e perseveranza. E che se si fallisce, si può sempre scaricare ad altri la responsabilità.

E così ci sono alcune questioni che tornano ciclicamente negli anni senza trovare una soluzione. Una di queste è la disciplina del rapporto tra il parlamentare e il suo collaboratore. Funziona così: il collaboratore viene pagato con il “rimborso delle spese per l’esercizio del mandato“, voce di spesa il cui importo complessivo si aggira intorno ai 4.000 euro, di cui però solo la metà è sottoposta a rendicontazione.

Dunque il parlamentare userà per la retribuzione del collaboratore solo la parte da rendicontare; se tutto va bene – ovvero se non decide di utilizzare quei soldi per altre spese ammesse, come ad esempio il commercialista o l’affitto di una sede locale – userà l’intera cifra rendicontabile (pari a 2.000 euro lordi, quindi circa 1200/1300 euro netti per il lavoratore a seconda della forma contrattuale utilizzata). Nella maggior parte dei casi ne utilizzerà di meno, avendo altre spese e non essendoci alcun tipo di paletto circa la retribuzione del collaboratore. L’altra metà erogata forfettariamente invece resterà al parlamentare, che potrà tenerla nella sue disponibilità o usarla come meglio crede.
Inutile a dirlo: nei Parlamenti di Gran Bretagna, Francia e Germania, o nelParlamento Europeo, funziona molto diversamente.

Il rapporto contrattuale tra parlamentari e collaboratori è gestito dall’amministrazione della Camera di appartenenza ed esiste una voce di bilancio vincolata e riservata esclusivamente ai parlamentari che intendano avvalersi di collaboratori (se si ritiene di non averne bisogno, i soldi restano alle Camere, con un notevole risparmio).

Allora perché non introdurre un sistema simile anche in Italia? Purtroppo anche questo Parlamento, che avrebbe dovuto rappresentare una svolta dal punto di vista generazionale e della trasparenza, ha dimostrato finora di non voler affrontare con la necessaria determinazione la questione dei collaboratori.
I collaboratori parlamentari sanno che il deputato o senatore per cui ogni giorno scrivono disegni di legge, interrogazioni, discorsi e comunicati, per cui gestiscono il sito e i social network, organizzano l’agenda e tengono i rapporti con il territorio, forse non è la persona che può effettivamente risolvere la questione (gli unici con un reale potere in merito sono gli Uffici di Presidenza delle Camere e, da un punto di vista politico, i Capigruppo). Ma sanno anche che se pure fosse la persona giusta, probabilmente non lo farebbe. Così anche i collaboratori parlamentari hanno sperimentato quel senso di disillusione e sconforto per quel che li riguarda.

Ciò nonostante continuano a mettere il massimo impegno nel loro lavoro, perché spesso è un lavoro che amano e per cui hanno studiato tanti anni. E non si arrendono, si associano – oggi l’Associazione dei collaboratori parlamentari – conta quasi 200 iscritti che lavorano con parlamentari di tutti i partiti, non era mai successo prima -, in qualche caso si assumono il rischio di metterci la faccia.

Vogliamo che questa legislatura sia quella giusta; e speriamo che lo sia, perché delusione e disillusione non contagino perfino noi, che amiamo la politica e che con gli eletti lavoriamo – con passione e competenza – ogni giorno.

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